CCNL COOPERATIVE SOCIALI 2017-2019: UN CONTRATTO DA RESPINGERE, UNA TESSERA SINDACALE DA STRACCIARE!

Una lettura a freddo del nuovo Ccnl Coop Sociali

Nazionale -

DOPO 75 MESI DI CCNL SCADUTO: 300€ UNA TANTUM, 200 SUBITO E 100 A LUGLIO 2019

80€ A RATE DI AUMENTO AL LIVELLO C1 A TEMPO PIENO, DA RIPARAMETRARE PER ALTRI LIVELLI E MONTE ORE.

• 35€ A NOVEMBRE 2019

• 25€ AD APRILE 2020 (A CONTRATTO SCADUTO)

• 20€ A SETTEMBRE 2020 (A CONTRATTO SCADUTO)

 

SINDACATO E GESTIONE DEGLI INTERESSI D’IMPRESA, IN CAMBIO DI COSA?

Una lettura a freddo dell'articolato del nuovo CCNL Cooperative Sociali 2017-2019 impone di andare a spulciare tra le righe dei nuovi capitoli che andranno a sostituire i corrispondenti nell'impianto complessivo del precedente (molto precedente) CCNL 2010-2012.

Una lettura che è necessaria per comprendere, oltre le evidenze del rinnovo economico, quanto danno possa fare la megalomania e la autoreferenzialità sia delle sigle sindacali firmatarie, Cgil Cisl e Uil, sempre più in crisi di consenso ed alla ricerca di un ruolo (quale che sia) nel rapporto con i padroni (ed il ruolo che sembrano aver scelto è quello dei cogestori/mediatori degli interessi tra il capitale/impresa ed il lavoro), sia le parti datoriali, Legacoop, Confcooperative-Federsolidarietà e AGCI, sempre meno cooperative e sempre più imprese sociali, alla ricerca di margini di manovra da recuperare sul salario e sulla produttività dei lavoratori e delle lavoratrici oggi impiegati nei servizi alla persona, assistenziali, sociosanitari, educativi, di reinserimento e di integrazione.

Ed e proprio da questo punto che bisogna partire per comprendere qual è la funzione della Cooperazione Sociale e del suo CCNL oggi, in condizioni generali di forte contrazione dell'economia e quindi della capacità e volontà politica di investimento nei settori produttivi del terziario, ed in un contesto particolare di altrettanto forte contrazione dei servizi rivolti ai bisogni della persona (quello che una volta veniva chiamato welfare universale, oggi sempre più “welfare dei miserabili”) che in un revival di berlingueriana memoria parla ai lavoratori del settore di austerity e riduzione di spesa come di condizioni necessarie per espiare i peccati e ripulirsi la coscienza dalle brutte tentazioni e dall'aspirazione di arrivare decentemente alla fine del mese, con qualche soldo in tasca e magari senza i postumi del mal di testa da burn out.

Come lo scorso CCNL, infatti, quest'ultimo definisce il campo di applicazione del contratto stesso alla variegata galassia delle “imprese sociali” che svolgono interventi e servizi nel comparto sociosanitario, assistenziale, educativo, rivolti anche all'infanzia, o che hanno ad oggetto il recupero la riabilitazione ed il reinserimento sociale e lavorativo di persone svantaggiate (Art.1).

Nessuna presa di distanza dunque da quella cooperazione sociale spuria e impropria che svolge i propri servizi in appalto per l'igiene ambientale e nel pulimento, nelle biblioteche, nei centri per l'impiego, nei servizi di soccorso come il 118, nei più variegati settori dove non solo andrebbero applicati CCNL migliorativi (ad es. il Federculture per le biblioteche, il FISE per l'igiene ambientale, ecc.), ma vigono, e come USB le verifichiamo quotidianamente, condizioni di sfruttamento al limite della schiavitù.

La truffa quindi comincia da qui, dall'Art.1 del nuovo contratto. Un articolo che definisce il perimetro di applicazione del contratto che è uno specchietto per le allodole, un articolo che mente sapendo di mentire.

Si diceva di megalomania e autoreferenzialità, e non crediamo di esagerare, perché quando si pretende di regolare con un contratto (di natura privatistica stipulato tra soggetti privati, sindacati e datori di lavoro, appunto), la vita lavorativa di circa 350.000 lavoratori nel Paese, con la pretesa che la sua applicazione valga erga omnes, ovvero per tutti, andando a definire che i soli titolari delle relazioni sindacali sono coloro che il CCNL l'hanno firmato (e che sono poi coloro che hanno partorito il pessimo Testo Unico del 2015 sulla Rappresentanza Sindacale e l'ancora peggiore Patto della Fabbrica su Salute e Sicurezza del 2018), di questo bisogna correttamente parlare: delirio di megalomania. É questo il contenuto dell'Art.8 e dell'Art.9 (Protocollo di Relazioni Sindacali e Comitato Misto Paritetico) nel quale si blinda in maniera tombale (ma il tentativo non è una novità) la rappresentanza ai soli soggetti firmatari del nuovo CCNL.

In questo disposto articolato che dipinge l'assedio alle porte del castello, le orde di barbari che con cieca violenza minacciano il crollo della civiltà (e ci rendiamo conto che dal loro punto di vista possa essere così, perché la civiltà che hanno costruito è una civiltà di sfruttamento), il leit motive di richiamare ogni diritto “ai soggetti firmatari” ricorre in lungo e in largo nel testo del nuovo contratto. È questo un vero colpo di mano, dietro il quale ci aspettiamo, come USB, una recrudescenza delle relazioni sindacali con i datori di lavoro dietro mandato dei sindacati concertativi, una chiusura degli spazi che con le lotte per la democrazia sindacale abbiamo conquistato in oltre 30 anni di sindacalismo di base. E se è questa la loro intenzione, ancora una volta ci troveranno pronti alla battaglia.

 

IL CONTRATTO O I CONTRATTI?

E per rendere effettiva la capacità di ascrivere a se stessi la rappresentanza sindacale si dà forma e sostanza, nell'Art.10, alla relazione che intercorre tra il CCNL e i Contratti Territoriali: le procedure di rinnovo per il CCNL sono rese più agili, nel senso che le parti datoriali lo potranno disdire con minor preavviso (5 mesi attuali contro i 7 mesi di prima), ma il vero quesito è a cosa servano le previsioni e la regolamentazione di rinnovo se ogni volta passano invano mesi senza che, prima ancora dell'avvio delle trattative, vi sia la minima preoccupazione di lasciare lavoratrici e lavoratori con un contratto scaduto.

L'ultimo rinnovo fu siglato il 16 dicembre 2011 e la scadenza del CCNL 2010-2012 sarebbe stata di lì a un anno, il 31/12/2012, con l'ultima tranche riconosciuta a contratto scaduto, nel marzo 2013. Da allora sono passati 75 (settantacinque) mesi senza contratto, senza che nessuno si ponesse il problema di come adeguare il costo del lavoro di uno dei CCNL meno tutelante e remunerativo del mondo del lavoro.

In ogni caso, se una delle parti dovesse dimenticare di mandare disdetta o piattaforma rivendicativa, il contratto si intenderà rinnovato di anno in anno; questo significa che dal prossimo rinnovo in poi, non avremo a che fare con un contratto scaduto, ma prorogato, e quindi ogni rivendicazione sul recupero dell'inflazione, ogni discussione sull'una tantum, cadrà a vuoto.

Dicevamo del Contratto Territoriale, che di preferenza deve essere regionale, ma che può essere anche provinciale o sub regionale (sic!). In questo contratto decentrato, recita il testo: si conferma [...] la necessità di individuare, incrementare, rendere accessibili, tutte le misure volte a incentivare, anche attraverso la riduzione degli oneri a carico della cooperativa e cogliendo le occasioni di incentivazione fiscale e contributiva vigenti, la contrattazione di secondo livello collegando incentivi economici al raggiungimento di obiettivi di qualità, produttività, redditività, ai fini del miglioramento della competitività dell'impresa.

Se questa non è una dichiarazione d'amore per le parti datoriali, non sappiamo bene come interpretare questo comma, se non nell'adesione dura e pura alla logica dell'interesse della cooperativa/impresa sociale, che, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione dalla Cosa Pubblica (e cioè finanziamenti alle imprese, defiscalizzazione e decontribuzione, come in Italia si fa dal 1945 in poi) persegue l'aumento della produttività (che per un settore che lavora con le persone e per le persone significa sfruttamento intensivo della manodopera), redditività (che per il no-profit dovrebbe essere una bestemmia, ma con l'impresa sociale tutto cambia) al fine di rendere la cooperativa competitiva sul mercato dei servizi a scapito (e grazie proprio a questo contratto) del salario dei soci-lavoratori.

Bene, anzi male.

 

RICCHI PREMI E COTILLON?

In questa contrattazione territoriale, dicevamo, vengono inseriti nuovi temi di competenza delle strutture periferiche dei sindacati e dei datori di lavoro. Segnaliamo, tra quelle nuove e particolarmente gravi a nostro avviso, 1) l'inquadramento di profili professionali non indicati nel CCNL; 2) la definizione e la declinazione di strumenti di gestione di forme flessibili dell'orario di lavoro (Banca Ore); 3) l'identificazione di ulteriori attività in relazione al lavoro stagionale oltre a quelle già indicate nel CCNL; 4) Premio Territoriale di Risultato, definendone anche le modalità di eventuale traduzione in forme di welfare aziendale; a queste materie si aggiungono tutte le altre esplicitamente rinviate alla contrattazione territoriale dallo stesso CCNL.

Ecco, a noi sembra che nell'articolazione di questi pochi punti, oltre a quelli già trattati dai contratti territoriali, sia contenuto il prezzo della richiesta di monopolio delle relazioni sindacali, ovvero il “liberi tutti” alla parte datoriale per (in contesti più deboli come quelli territoriali e più inficiati delle dinamiche di clientelismo) fare dei lavoratori quello si vuole, sia dal punto di vista dello sfruttamento in senso pieno (la produttività, la Banca Ore), sia in termini di inquadramento, che di pagamento (in welfare aziendale o in cassette della frutta, cambia poco).

Ed è qui che si insinua il dubbio sulla necessità di trasformazione dall'ERT (Elemento Retributivo Territoriale), che aveva la pretesa, almeno nel principio, di essere, appunto, un “elemento” della retribuzione, a Premio Territoriale di Risultato: è un premio (come si dà ai bravi cagnolini che hanno portato le pantofole al padrone), ed è in subordine ad un risultato economico della cooperativa. Quest'ultimo elemento lascia presupporre che sarà bene che i lavoratori introiettino il concetto che se la cooperativa/impresa sociale va bene allora ci saranno i biscottini (o la mezz'ora d'aria in più, in welfare aziendale); diversamente non c'è nulla per nessuno, e tutti a letto senza cena.

Ça va san dire, la titolarità del contratto territoriale è delle rispettive rappresentanze territoriali delle parti firmatarie del presente contratto.

 

IL DIRITTO ALLO SCIOPERO ANCORA SOTTO ATTACCO.

Riguardo l'Art.11 (Norme di garanzia del funzionamento dei servizi essenziali), il testo oltre a ribadire in maniera troppo estensiva il fatto che strutture tutelari e servizi di assistenza domiciliare sono da considerarsi servizi essenziali, la sorpresa è demandata ad una nota a verbale tra le parti che sancisce che entro 6 mesi dalla firma si impegnano a definire un accordo sulla regolamentazione del diritto di sciopero ai sensi della legge 146/90 e sue modificazioni: in un contesto di crescenti difficoltà economiche e sociali per le lavoratrici e i lavoratori, nelle previsioni più fosche di un quadro che annuncia una nuova recessione alle porte, la scelta delle parti è quella, in assoluta continuità con i governi che si sono susseguiti, di comprimere il diritto di sciopero, soffocare il conflitto e indebolire gli spazi democratici proprio nel momento in cui più alto è destinato a farsi sentire l'urlo di chi sarà colpito dalla crisi. Un'altra indicazione, insomma, che dice chiaramente da che parte stanno Cgil Cisl e Uil.

 

ELOGIO DEL JOBS ACT. ELOGIO DELLA PRECARIETÀ.

All'Art.25, che regola i “Rapporti di lavoro a termine”, troviamo un'altra dichiarazione d'amore: l'oggetto del turbinio emotivo è niente poco di meno che il Jobs Act di Renzi, che era stato modificato dal Decreto Dignità per quanto riguardava i limiti del contratto a termine, fissati a 24 mesi. Ebbene i nostri hanno derogato in peggio e riportato a 36 mesi la durata dei contratti a termine. Giustizia è fatta. Di quale giustizia si tratti poi lo sanno i lavoratori che aspettano un contratto a tempo indeterminato.

Lo scambio sulla reintroduzione sic et simpliciter del Jobs Act avviene con la c.d. Clausola di Stabilizzazione, che dice, in un meccanismo abbastanza contorto, che non è possibile prorogare i contratti a termine che superino i 24 mesi se non si provvede alla stabilizzazione almeno del 20% di quelli che hanno già superato i 24 mesi. Il tutto senza un criterio oggettivo (anzianità anagrafica, anzianità di servizio, ecc.), e che quindi lascia mano libera all'impresa di scegliersi il personale come preferisce: i più forti, i più in salute, i più “motivati”. Insieme al Jobs Act, dunque, si ripristina anche la Legge della Foresta, dove sopravvive il più forte.

Logicamente questo articolo, nelle sue disposizioni successive, prevede una serie di eccezioni per cui si può derogare alla stabilizzazione del 20% del personale e si possa superare il numero massimo di contratti a termine per datore di lavoro (30% del personale totale).

L'articolo successivo, il 26, è dedicato alla regolamentazione del “Lavoro a tempo parziale”.

Una frase per tutte, all'inizio dell'articolato, svela la natura ideologica della narrazione che sta esalta il mutualismo e la reciprocità propri della condizione del lavoro in forma cooperativa.

Questa frase afferma: Il rapporto a tempo parziale si attiva nelle singole cooperative secondo il principio della volontarietà di entrambe le parti.

Ma l'impianto ideologico cozza con la realtà, nella cooperazione sociale, del part time involontario e del conseguente lavoro povero. La realtà è che il modello strutturale del lavoro in cooperativa non lascia spazio ad una libera determinazione della quantità di ore da vendere alla parte datoriale. È sempre quest'ultima che impone, prendere o lasciare, il part time a volte anche per monte ore ridicoli, potendolo imporre per un minimo di 12 ore settimanali e potendo, ancora una volta, derogare a questo minimo fino ad una quantità del 10% del totale del personale.

Successivamente di definisce che il lavoro supplementare è consentito nella misura del 40% su base settimanale (prima era il 50%) e che le eventuali ore supplementari potranno essere recuperate come riposi aggiuntivi fino ad un massimo del 50% nei sei mesi successivi, mentre il restante verrà retribuito con una maggiorazione del 27%. Attenzione però, perché, con il consenso manifesto del lavoratore a svolgere ore in più, inserito in chissà quale clausola elastica, vengono aboliti i limiti massimi di ore recuperabili in riposi compensativi. Ancora una volta ritorna la necessità di innalzare la produttività del lavoro, ovvero di avere mano libera di aumentare il tasso di sfruttamento.

Un CCNL fondato su deroghe, part time involontario e lavoro povero.

 

LA LOGICA DEGLI APPALTI: CAMBIARE TUTTO, CAMBIARE NIENTE, CAMBIARE I LAVORATORI.

L'Art.37, quello sui Cambi di gestione, non viene modificato nella sostanza, se non per ribadire che il diritto di informazione sui cambi di gestione è a titolarità esclusiva delle OO.SS. territoriali firmatarie del CCNL. Una blindatura sui diritti sindacali a monte, quella contenuta nell'Art.1 del contratto, e a valle, nei territori e nelle aziende dove si verificano cambi d'appalto e di gestione.

Per il resto, com'era prima, l'Art.37 sancisce che se ci sono le condizioni per riassorbire il personale, bene. Sennò bisogna trattare. E intanto l'Art.18 dello Statuto dei Lavoratori non esiste più e le nuove direttive europee in materia di appalto e clausole sociali dicono che non bisogna limitare la libertà dell'impresa subentrante di organizzare il lavoro come meglio crede.

 

OPERATORI DELL’ACCOGLIENZA: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO.

L'Art.47 sull'Inquadramento del personale riprende quanto dichiarato nell'Art.10 sui contratti territoriali ribadendo che in sede territoriale o aziendale possono essere individuati ulteriori profili necessari alle esigenze: un “fate vobis” che non abbiamo dubbi che non tarderà ad essere utilizzato.

Intanto però, in barba alla discussione imposta a livello nazionale dagli operatori dell'accoglienza che in questi anni chiedevano il giusto riconoscimento della loro professionalità e di superare la discrezionalità e i sottoinquadramenti nella categoria C1 in cui erano collocati in nome del risparmio sul costo del lavoro, si raggiunge l'intesa per integrare la nuova figura dell'operatore dell'accoglienza proprio nei livelli B1 e C1. Si inseriscono cioè queste figure nelle aree di servizi socio-assistenziali e socio-sanitari!

Peccato davvero che ogni ragionamento portato avanti dai diretti interessati constatasse d come l'accoglienza, e quindi l'integrazione e il reinserimento, fossero delle funzione da ricondursi all'area socio-educativa, per cui la richiesta minima era l'inquadramento al livello D1 e D2.

Un altro regalo alle cooperative, un altro schiaffo ai lavoratori.

L'unica nota parzialmente positiva è data dal riconoscimento, per i servizi all'infanzia, di istruzione e della continuità educativa, di una percentuale tra il 2% e il 6% di programmazione delle attività, da definirsi ancora una volta, però in sede di contratto territoriale.

 

LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI?

Orario di lavoro (Art.51): una epica battaglia di principio riporta le ore di riposo tra un turno e l'altro a 11 consecutive. Salvo proroghe e ad eccezion fatta per i turnisti, che per esigenze di organizzazione del servizio possono riposare anche solo 8 ore.

Una volta si diceva: lavorare meno lavorare tutti. Oggi nel CCNL si scrive: lavorare di più, riposare di meno.

Altro impegno disatteso è quello dell'Art.57 sulla c.d. Notte passiva e sulla richiesta unanime di abolizione di quest'istituto che, esemplificando il concetto di messa a disposizione totale del lavoratore, lo mette a dormire in uno sgabuzzino e lo chiama in turno se c'è bisogno. Un po' come facevano i signori con la servitù che viveva e dormiva ai piani inferiori della casa padronale.

Nessuna abolizione del “Servizio con obbligo di residenza nella struttura”, rimando della definizione dei contorni di applicazione su servizi e figure (indovinate un pò?) alla contrattazione aziendale (tra le parti firmatarie del CCNL).

Il nuovo articolo sul Congedo per le donne vittime di violenza di genere recepisce il dettato legislativo in materia di tutela delle lavoratrici vittime, appunto, della violenza di genere. Bene dunque, ma nessuna miglioria rispetto al quadro di legge vigente.

L'Art.71 sul Trattamento economico di malattia e infortunio non sul lavoro introduce, deo gratia, lo scorporo delle gravi patologie oncologiche, cronico degenerative ingravescenti e le giornate per le terapie salvavita e di ricovero ospedaliero dal calcolo per la determinazione del periodo di comporto (ovvero la conservazione del posto per 12 mesi nell'arco del triennio).

 

SUL LUNGO PERIODO SAREMO TUTTI MORTI.

Con l'Art.77 (Accordi di gradualità) si sceglie di riconfermare la novità introdotta nell'ultimo CCNL 2010-2012 sul prevedere meccanismi che possano derogare all'applicazione, da parte delle imprese cooperative, dell'aumento contrattuale, qualora queste dimostrino condizioni di particolare criticità economica o finanziaria, salvaguardando solo l'erogazione della prima tranche dell'aumento prevista per novembre 2019, ad un mese dalla scadenza del CCNL.

Di fatto ancora uno strumento in mano alle cooperative, che dopo aver traccheggiato, insieme ai sindacati, per 75 mesi sul rinnovo, si riservano la possibilità di non elargire, o di dilazionare ancora oltre i termini previsti, la misera mancia definita come aumento contrattuale.

Vale ancora oggi quello che scrivemmo allora a commento del rinnovo del CCNL 2010-2012: nessun parametro percentuale, o di durata dell’eccezione, o di previsione di rientro è fissato a priori, tutto demandato al sistema di relazioni territoriali, tutto affidato al sistema amicale di relazioni tra i rappresentanti sindacali e i rappresentanti delle cooperative, che spesso (e lo sappiamo bene, nei territori ci siamo anche noi) passano disinvoltamente da una sponda all’altra. Quante saranno le cooperative che, volendo e potendo, decideranno di dare “piena applicazione” al sostanzioso aumento salariale di 80 €? In un settore già caratterizzato da concorrenza sleale dovuta all’applicazione difforme da coop a coop del contratto, già immaginiamo la corsa alla deroga dal contratto e dal suo esoso costo del lavoro.

 

IL RE È NUDO.

L'Art.85 sugli Abiti da lavoro rimanda alla contrattazione territoriale la fruizione dei tempi di vestizione “se dovuti”. Sul concetto di “dovuto” si stanno scrivendo fiumi di sentenze definitive che hanno sancito il diritto di vedersi riconosciuto il tempo di vestizione come tempo di lavoro, con relativa corresponsione degli arretrati a risarcimento “dovuto”. Anche qui si sceglie di non affrontare il tema e di nascondere la polvere sotto al tappeto della giungla delle relazioni territoriali.

 

PRIVATIZZARE I PROFITTI, SOCIALIZZARE LE PERDITE.

L'Art.86 (Fondo previdenza complementare Previdenza Cooperativa) è un giusto riconoscimento a se stessi, alle parti firmatarie, sindacati e cooperative. Le parti concordano, infatti, di aumentare la quota parte aziendale di versamento contributivo al fondo pensione, dall'1% al 1,5%. Più soldi da giocare in borsa, attraverso la gestione degli enti bilaterali composti dalle parti, mettendo a rischio le pensioni dei lavoratori che, tramite la truffa del silenzio-assenso, hanno destinato il proprio TFR alla speculazione finanziaria dei fondi pensione sul mercato borsistico. È un dato acquisito che la maggior parte dei fondi di previdenza complementare siano in perdita e non siano in grado di garantire le somme investite.

Come per l'Assistenza sanitaria integrativa dell'Art.87, vero cavallo di Troia per lo smantellamento della sanità pubblica e universale, alla quale le cooperative destinano 5€ al mese a lavoratore: non era meglio destinare questi soldi alla retribuzione dei lavoratori, aumentando la cifra del rinnovo contrattuale?

 

LA RESA DEI CONTI.

La Disposizione Finale riguarda i “Contributi di Servizio Contrattuale”. Come ogni buon lavoro che si rispetti, bisogna esigere una remunerazione e dunque Cgil Cisl e Uil presentano il conto. Il fatto è che il conto non lo presentano solo ai propri tesserati o alle cooperative associate a Legacoop-Confcooperative-AGCI.

Chiedono il pizzo anche a chi, lavoratori e cooperative, ha fatto la libera e consapevole scelta di non farsi rappresentare da Lor signori, sindacati e datori di lavoro consorziati. Ammontare del pizzo, per i lavoratori non associati alle OO.SS. firmatarie, è di 0,1% sul totale della retribuzione annua.

Facciamo due conti, stando larghi sul tasso di sindacalizzazione del settore che si aggira intorno al 10% dei 350.000 addetti del settore. Consideriamo quindi per il campione “solo” 300.000 addetti, numero che moltiplicato per lo 0,1% di retribuzioni annue (dato il lavoro povero) che si aggirano in media intorno ai 15.000€, la tassa di Cgil Cisl e Uil per i lavoratori non iscritti alle loro organizzazioni potrebbe ingenerare un contributo di servizio contrattuale pari a circa 4,5 milioni di euro (ai quali vanno aggiunti i soldi degli iscritti e delle Centrali Cooperative). Niente male per un servizio del genere!

 

ANCHE SE VOI VI CREDETE ASSOLTI, SIETE PER SEMPRE COINVOLTI.

Dunque un contratto senza sostanza dal punto di vista economico, e senza coraggio dal punto di vista normativo. Alla mancia degli 80€ e dei 300€ una tantum, Cgil Cisl e Uil associano una serie di elargizioni ai datori di lavoro intollerabili per chi da anni prova a mettere un freno alla possibilità data alle cooperative di operare costantemente in deroga alle regole, al diritto ed al buon senso riguardo le retribuzioni, i minimi contrattuali, la flessibilità, la banca ore, la salvaguardia dei tempi di vita dal tempo di lavoro. Viene demandato alla contrattazione dello scantinato dei sistemi territoriali troppa materia contrattuale, quella stessa su cui si fondano le rivendicazioni storiche relative all'abolizione della notte passiva, alla certezza di un elemento retributivo aggiuntivo “pieno” (e non la mancetta dell'ERT prima e del PTR dopo), la fine del regime della Banca Ore per una retribuzione piena e garantita, e allo stesso tempo si lascia a questo tipo di contrattazione la definizione dei minimi essenziali in caso di sciopero, con il rischio di compressione e di difformità di applicazione del diritto di sciopero sul territorio nazionale, dell'invenzione di nuovi inquadramenti territorio per territorio, del diritto sui tempi di vestizione.

Un contratto insomma che regala tanto alle cooperative, come sempre, e nulla alle lavoratrici e lavoratori.

Aspettiamo di capire quale tipo di meccanismo di trasparenza sul voto verrà messo in campo per il referendum tra i lavoratori su questa ipotesi di CCNL, nelle assemblee che dovranno tenersi di qui a poco. Di sicure come USB lavoreremo per far accrescere la consapevolezza su questo contratto truffa, provando a far saltare il banco a chi in questi mesi ha condotto una trattativa all'oscuro dei contenuti e delle ipotesi costruite di volta in volta sul tavolo, per poi presentare il pacchetto “prendere o lasciare” a 350.000 lavoratori che chiedono altro da questo contratto: salario, diritti, dignità del lavoro nei servizi di welfare.

 

UNA COSA PERÒ POSSIAMO FARE SUBITO: TOGLIERE LA TESSERA A CGIL CISL E UIL, REVOCARE LA RAPPRESENTANZA AI DISTRUTTORI DELLA DIGNITÀ DEI LAVORATORI DEL SOCIALE!

 

VOTIAMO NO AL CCNL TRUFFA!

UNIAMO LE NOSTRE LOTTE, ORGANIZZATI CON USB!

 

 

Coord. Naz. Coop Sociali e Terzo Settore